Dal sito La Discussione – Leggi l’articolo originale di Giampiero Catone
Il futuro della previdenza è nel lavoro. Il monito di Cirino Pomicino: non ripetere gli errori commessi nei tre anni di governo dalla confusa coalizione dell’Ulivo
Il recente rapporto dell’Istituto nazionale di previdenza sociale pone in evidenza due temi che suscitano particolare attenzione. Il bilancio preventivo per il 2024 avrà cifre peggiori di quelle del 2023, si prevede infatti un aggravio di spesa. Le prestazioni Inps risulteranno superiori a quelle delle entrate contributive di quasi due punti percentuali (+6,05 per cento). Tradotto in cifre si tratta di 24 miliardi di euro in più. La differenza tra la previsione 2024, indica un esercizio negativo di 9.250 milioni, ossia in aumento rispetto ai 6.684 milioni dell’assestamento di bilancio del 2023. Si tratta di una prima riflessione puramente contabile, ma che desta timori. La seconda, invece, è strutturale, perché di anno in anno l’Istituto – malgrado alcuni recenti miglioramenti – per sopravvivere e quindi mettere in salvo le pensioni degli italiani, dovrà aumentare il numero dei contribuenti. Ossia avere più gettito, un ampliamento di introiti che può derivare solo dall’aumento del tasso di occupazione. Gli ultimi dati sull’occupazione dicono che certo ci sono più contratti, ma siamo comunque ai livelli più bassi in Europa.
Un sistema in crisi
Dunque aumentano le uscite e calano le entrate. Con uno scenario che ha preoccupanti elementi a sfavore, come ad esempio, la crisi della natalità che investe il Paese in modo pesante, per non dire drammatico. Stando così le cose la demografia diverrà un ostacolo insormontabile che si erge contro la sostenibilità del sistema. Secondo le proiezioni Inps c’è anche una data dove il sistema entrerà in blocco, sarà il 2050 quando il rapporto tra lavoratori e pensionati che passerà dall’attuale 1,4 a 1,3 per arrivare uno a uno. Quindi un lavoratore e un pensionato.
Meno bonus più assunzioni
L’analisi fatta è frutto di calcoli e non di opinioni, di questo bisogna tenere conto per cercare delle soluzioni. Come sottolineato il problema è aumentare la base contributiva, questa può salire solo se ci sono più occupati, ma serve un salto di milioni di posti in più. Come d’altronde era stato negli anni 1960-‘70 quando il lavoro era garantito da contratti a tempo indeterminato. Oggi, non è la prima volta che lo sottolineiamo, ci sono molti incentivi e bonus per sostenere il welfare, e siamo d’accordo che lo Stato deve intervenire su casi di povertà ed esclusione sociale, ma nel contempo dovremmo dirottate molte più risorse sulle politiche attive del lavoro. Forse sarà riduttivo ma dovremmo considerare il fatto di creare occasioni di formazione e lavoro per i ragazzi piuttosto che bonus a pioggia, perché una volta al lavoro i nostri giovani percepiscono stipendi e contribuiscono ai versamenti previdenziali. Per riequilibrare il sistema sarà necessaria una svolta, lungimirante. Sostenere imprese e per avere nuovi lavoratori ed un futuro certo e migliore.
Pomicino e la critica all’Ulivo
Si pone quindi il tema della lungimiranza, del proiettarsi 20-30 anni in avanti, non pensare solo alla previdenza di oggi ma fortificare quella del domani. Su questa prospettiva temporale va fatto un approfondimento politico. L’occasione arriva da una puntuale analisi apparsa sul Foglio a firma di Paolo Cirino Pomicino, ex parlamentare di grande esperienza, protagonista della prima Repubblica, valoroso esponente della DC, che sottolinea come nella stagione politica passata, precisamente quella incarnata dal Centrosinistra con l’Ulivo – di cui oggi l’ex premier Prodi suggerisce alla leader del Pd Schlein di riproporre lo schema federale – quella esperienza, scrive Cirino Pomicino, fu simbolo di confusione con: “un accrocchio che andava da Bertinotti a Mastella passando per numerose sigle prive di cultura e di visione e che ebbe tre anni di vita durante i quali furono svendute, in parte o totalmente, grandi eccellenze italiane nel settore del credito, delle telecomunicazioni, dell’acciaio, degli asset autostradali e del settore dell’energia e dell’alimentare e della moda”. Un giudizio critico ma certamente confermato dai fatti, che può aiutarci oggi a non cadere nei gravi errori del passato. Al contrario di quel Centrosinistra che in tre anni fece danni per decenni, il Governo del premier Giorgia Meloni deve ampliare il suo orizzonte dell’oggi verso il futuro. Pensare all’Italia tra 20-30 anni, puntare – lo ribadiamo come fece e realizzò la Dc – un progetto stabile e duraturo della società italiana. Dobbiamo oggi pensare al Paese di domani. Ci sono le possibilità politiche, istituzionali e sociali. Ai cittadini la politica deve tornare a dare certezze, un orizzonte di futuro che sia concreto e su cui magari farci anche appassionare.
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